L’accertamento dei contributi previdenziali può avvenire in seguito ad atti di accertamento effettuati dall’Agenzia delle Entrate, come nel tipico esempio dell’accertamento in seguito all’omessa dichiarazione dei redditi da parte di soggetti iscritti alla gestione tributaria: tale omissione provoca sia un debito tributario nei confronti del fisco che nei confronti dell’INPS.

Vediamo cosa prevede la giurisdizione.

Accertamento dei contributi previdenziali: la giurisdizione

Se l’Agenzia delle Entrate provvede ad emanare un atto di accertamento sui crediti previdenziali la giurisdizione sarà del giudice ordinario. Lo ha affermato la Corte di Cassazione in fase di regolamento di giurisdizione, nell’ordinanza n.19523 del 23 luglio 2018: “deve darsi continuità alla giurisprudenza di queste Sezioni Unite secondo cui rientra nella giuri­sdizione del giudice ordinario – e non di quello tributario – la controversia avente ad oggetto diritti e obblighi attinenti ad un rapporto previdenziale, anche se originata da pretesa azionata dall’ente previdenziale a mezzo cartella esattoriale. Ciò deriva non solo dall’intrinseca natura del rapporto, ma anche dal rilievo che l’art. 24 del D.Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46, sul riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, nell’estendere tale procedura anche ai contributi o premi dovuti agli enti pubblici previdenziali, espressamente prevede che in presenza di richiesta del versamento di contributi previdenziali il contribuente può proporre innanzi al giudice del lavoro opposizione contro l’iscrizione a ruolo (v. Cass. S.U. n. 15168/10; Cass. S.U. n. 6539/10; Cass. S.U. n. 7399/07)”.

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Il condono fiscale

Il condono fiscale ha una natura essenzialmente deflattiva e non di accertamento, pertanto la somma che il contribuente accetta di pagare a titolo di definizione della lite con il Fisco non proietta i propri effetti anche in ambito previdenziale. Pertanto, in caso di condono fiscale, l’INPS dovrà dimostrare in giudizio i fatti costitutivi del proprio credito, senza limitarsi ad allegare quanto è stato già oggetto di definizione in sede, appunto, di condono.

Anche in questo caso si può fare riferimento ad una pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 9596 del 25 maggio 2020, nella quale si afferma che: “la tesi secondo cui la chiusura della lite fisca­le mediante condono non determini il definitivo accertamento del maggior reddito imponibile, già affermata in passato nella giurisprudenza di legittimità (Cassazione nn. 8376/13; Cassazione 4307/05), è stata di recente chiaramente ribadita da questa Corte (Cass. nn. 21541/2019, 24774/2019) proprio con riferimento al condono tri­butario ex art. 39, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011, conv. con modif. in L. n. 111 del 2011”.

In alcuni casi tuttavia la giurisprudenza di merito ha attribuito valore automatico in ambito previdenziale alle risultanze dell’accertamento tributario, al quale è seguita una determinazione in via di condono fiscale, attribuendo a quest’ultima un valore confessorio. Tale orientamento emerge, ad esempio, in una sentenza della Corte di Appello di Milano: “la doglianza non è fondata in quanto l’intervenuto condono fiscale non vanifica l’accertamento fiscale svolto ma rappresenta una sorta di “patteggiamento” tra il contribuente –  e l’ammini­strazione in ragione del quale il contribuente, pur non portando acquiescenza all’ac­certamento svolto, ammette in sostanza che il proprio reddito è maggiore rispetto a quello dichiarato e quindi “sana” la propria posizione fiscale versando una somma di entità certamente inferiore a quella che dovrebbe versare in base al reddito effet­tivo. Come il contribuente non dà acquiescenza all’accertamento fiscale così l’am­ministrazione non annulla i risultati dell’accertamento svolto per il solo fatto che il contribuente ha deciso di aderire al condono. Conseguentemente l’accertamento del reddito esiste. A ciò va aggiunto che gli odierni appellanti piuttosto che dimostrare un diverso reddito della società, e quindi proprio, hanno preferito invece addivenire ad un accordo tramite il condono fiscale, che è nato al solo fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie. Nemmeno in questa sede hanno offerto di provare il loro reddito contro quello accertato dall’Agenzia delle Entrate e rispetto al quale l’INPS ha calcolato i contributi dovuti. Sussistendo quindi un valido accertamento del red­dito degli appellanti viene meno la fondatezza delle censure dagli stessi formulate che, come già evidenziato, si basano esclusivamente sulla asserita inesistenza di un accertamento del reddito”.

In realtà, però, la giurisprudenza di legittimità ha confermato, in opposizione a quanto sostenuto dalla Corte di Appello di Milano, come dovrebbe essere l’INPS a fornire le prove dei fatti costituivi del proprio diritto di credito, mentre non spetta agli opponenti l’onere di fornire prova contraria all’accertamento effettuato in sede tributaria che non ha, né può avere, efficacia di presunzione.

Ci sono poi dei casi i cui è il legislatore a prevedere nello specifico che gli accertamenti compiuti da Agenzia delle Entrate estendano i propri effetti anche ai contributi previdenziali, come ad esempio nel caso della mediazione, introdotta dall’art. 17-bis D.Lgs. n. 346 del 1992, aggiunto dall’articolo 39, comma 9, n. 98 del 2011, successivamente modificato dall’articolo 1, comma 611, lettera a), L. n. 147 del 2013 (da ultimo sosti­tuito dall’articolo 9, comma 1, lettera I), del D.Lgs. n. 136 del 2013, a decorrere dal 10 gennaio 2016), oppure nel caso dell’accertamento definito con adesione (art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 218 del 1997).

In questi casi l’impugnazione davanti all’autorità giudiziaria alla quale si riferisce il comma 3 dell’art. 24 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, secondo cui “se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è ese­guita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice”, può riferirsi anche ad un accertamento effettuato dall’Agenzia delle Entrare e opposto dinanzi la commissione tributaria.

Accertamento tributario dell’Agenzia delle Entrate e prescrizione della pretesa contributiva

Nel caso in cui da un accertamento tributario effettuato dall’Agenzia delle Entrate emergano anche dei crediti contributivi a favore dell’INPS, la notifica di tale accertamento al contribuente avrà effetti diversi in riferimento alla prescrizione.

In primo luogo, la notifica dell’avviso di accertamento non può essere considerata come fatto costitutivo del diritto dell’Istituto, quindi tale notifica non può rappresentare, in tema di prescrizione, il giorno dal quale essa inizia a decorrere.

D’altra parte, la notifica dell’atto di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate ha efficacia interruttiva sulla prescrizione, ai sensi ell’art. 2943 c.c. In tal senso è utile riportare quanto affermato nella pronuncia n. 21473 del 6 ottobre 2020 della Corte di Cassazione: “l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 1 D.Lgs. n. 462 del 1997, di un determinato reddito dapprima non emerso, non individua fatti costitutivi del diritto contributivo dell’ente previdenziale ma dispiega soltanto efficacia interruttiva della prescrizione, anche a beneficio dell’INPS”.