Lo scorso 7 giugno in Italia si è scattato il cosiddetto tax freedom day, ossia il giorno in cui i contribuenti con residenza fiscale in italia, cittadini italiani o meno, hanno idealmente e teoricamente “finito” di pagare contributi previdenziali e tasse allo Stato.

Il giorno della “liberazione fiscale” è stato ovviamente calcolato prendendo come riferimento la base del contribuente medio: perciò, dopo aver saldato Imu, Iva, Tari, Irap, Ires, Irpef, i contributi previdenziali nonché le addizionali varie, dal 7 giugno il percettore di reddito medio inizia a guadagnare per se stesso.

Rispetto all’anno scorso, nel 2022 il tax freedom day è arrivato con un giorno di anticipo: sono quindi necessari 157 giorni lavorativi, includendo nel computo anche i sabati e le domeniche. Sostanzialmente i lavoratori che pagano le tasse hanno lavorato per poco più di 5 mesi per pagare il Fisco.

Chi effettua il calcolo sul tax freedom day?

Il calcolo per stabilire la data del tax freedom day viene effettuato ogni anni dall’Ufficio Ufficio studi della CGIA di Mestre, che sottolinea come l’indicazione del  “giorno di liberazione fiscale” non sia altro che “un puro esercizio teorico che serve a dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, l’eccessivo peso fiscale che grava sugli italiani”.

La rilevazione effettuata ha rilevato come il raggiungimento della “liberazione fiscale” dopo 157 giorni dall’inizio dell’anno sia determinato anche da una pressione fiscale in Italia pari al 45,5%. Per determinare il tax freedom day viene infatti considerata la stima del PIL nazionale dell’anno corrente che viene divisa per i 365 giorni che compongono l’anno. Il risultato di questa operazione è un dato medio giornaliero. A questo punto si prendono in considerazione le previsioni del gettito dei contributi previdenziali, delle imposte e delle tasse che coloro i quali percepiscono un reddito verseranno nel 2022, il tutto rapportato al PIL giornaliero.

Il confronto con il 2021

Lo scorso anno il peso dei tributi, delle imposte e in generale delle tasse aveva raggiunto una soglia pari al 43,5%, ponendo l’Italia alla posizione numero sei tra i ventisette Paesi membri dell’Unione Europea subito dietro a:

  • Danimarca (48,1%)
  • Francia (47,2%)
  • Belgio (44,9%)
  • Austria (43,8%)
  • Svezia (43,7%)

Sempre in riferimento allo scorso anno, la pressione fiscale media dell’Unione Europea era pari alla soglia del 41,5%.

“Tra i big dell’UE solo la Francia ha un fisco più esoso del nostro – commenta l’Ufficio Studi CGIA – Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre – Dal confronto con gli altri Paesi europei non emerge un risultato particolarmente entusiasmante. Nel 2021 (ultimo anno in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino all’8 giugno (159 giorni lavorativi), vale a dire 5 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 7 se, invece, il confronto è realizzato con la media dei 27 Paesi che compongono l’Unione europea. Se confrontiamo il “tax freedom day” italiano con quello dei nostri principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore (+14), mentre tutti gli altri hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale in anticipo. In Germania, ad esempio, questo è avvenuto 4 giorni prima che da noi, in Olanda 14 e in Spagna 17. Il paese più virtuoso è l’Irlanda; con una pressione fiscale del 21,5 per cento, i contribuenti irlandesi assolvono gli obblighi fiscali in soli 78 giorni lavorativi, cominciando a lavorare per se stessi il 20 marzo: 80 giorni prima rispetto al nostro “tax freedom day”.

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I dati storici sul tax freedom day

Andando ad analizzare i dati storici elaborati dall’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre si vede come il “giorno della liberazione fiscale” arrivato prima sia quello del 2005, quando la pressione fiscale raggiunse la soglia del 39%  e i contribuenti arriveranno al tax freedom day dopo 142 giorni lavorativi, nella data del 23 maggio.

L’anno scorso si è invece registrato il giorno più tardivo, ossia l’8 giugno 2021, con una pressione fiscale pari alla soglia del 43,5 %. Tale circostanza però non è da imputare ad un aumento della riscossione imposto a carico di famiglie ed imprese quanto ad un consistente aumento registrato dal PIL nazionale (oltre il 6,5 %) che, successivamente all’imponente crollo registrato durante la pandemia da Covid – 19 (pari al – 9 %), ha concorso in maniera significativa ad incrementare il gettito fiscale.

Le previsioni per il 2022

Secondo le previsioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze quest’anno lo Stato dovrebbe incassare circa 40 miliardi di imposte e contributi in più rispetto al 2021. Una parte di questo incremento del gettito è causata anche dall’impatto della forte inflazione che, sulla base delle previsioni dei fiscalisti, dovrebbe variare tra il 6% e il 7%. In una situazione come quella attuale, nella quale i contribuenti rischiano di vedere erosi risparmi e giacenze e in cui stanno subendo forti rincari che possono far crollare i consumi interni, la speranza potrebbe essere la restituzione di questo gettito ulteriore attraverso l’intervento del Governo volti a rafforzare il potere d’acquisto delle famiglie e dei contribuenti in generale che rischiano di trovarsi in gravi difficoltà economiche.

Credits: DepositPhoto/BrianAJackson