Secondo quanto previsto dal rinvio operato all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/92 alle norme del codice di procedura civile, nel processo tributario è possibile applicare l’istituto del disconoscimento delle scritture private. Su questo punto è intervenuta anche la Corte di Cassazione, con la sentenza sentenza n. 30145 del 20 novembre 2019.

Nell’esprimersi, la Corte si è mossa in continuità con un principio consolidato, secondo il quale “La mancata proposizione dell’istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta equivale, secondo la presunzione legale, ad una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, con la conseguenza che il giudice non deve tenerne conto e che la parte che ha disconosciuto la scrittura non può trarre dalla mancata proposizione dell’istanza di verificazione elementi di prova a sé favorevoli” (principio già espresso nelle sentenze n. 27506 del 2017 e n. 17902 del 2018), e tutto questo senza che si palesi la necessitò della proposizione di querela di falso ad opera della parte che ha effettuato il disconoscimento della scrittura privata, pur avendone la facoltà.

Nelle sentenze n.1989 del 2007 e n. 19727 del 2003 si legge infatti che “la parte nei cui confronti venga prodotta una scrittura privata può optare infatti tra la facoltà di disconoscerla e la possibilità di proporre querela di falso, essendo diversi gli effetti legati ai due mezzi di tutela: la rimozione del valore del documento limitatamente alla controparte o “erga omnes” (Vedi Cassazione n. 4728 del 2007); senza che ciò costituisca riconoscimento espresso o tacito della scrittura medesima, la possibilità alternativa di proporre querela di falso va garantita al fine di contestare la genuinità del documento stesso, atteso che in difetto di limitazioni di legge non può negarsi a detta parte di optare per uno strumento per lei più gravoso ma rivolto al conseguimento di un risultato più ampio e definitivo, quello cioè della completa rimozione del valore del documento con effetti “erga omnes” e non nei soli riguardi della controparte”.

Disconoscimento scritture private: necessaria la tempestività

Il disconoscimento della scrittura privata deve però essere tempestivo. La Corte infatti, richiamando la pronuncia n.7355/2011, rileva che:

nel processo tributario, in forza del rinvio operato alle norme del c.p.c. (dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2), trova applicazione l’istituto del disconoscimento delle scritture private (artt. 214 e ss. c.p.c.).

Ne consegue che, in presenza del disconoscimento della firma (nella specie, proprio come nel caso che ci occupa, di una firme per girata apposto su un assegno bancario), il giudice ha l’obbligo di accertare l’autenticità delle sottoscrizioni, essendogli altrimenti precluso tenerne conto ai fini della decisione, e a tale accertamento procede ove ricorrano le medesime condizioni che il codice di rito prescrive per l’esperibilità della procedura di verificazione nonchè, in caso positivo, con l’esercizio dei poteri istruttori e nei limiti delle disposizioni speciali dettate per il processo tributario (in senso sostanzialmente conforme anche le precedenti: Cass. sez. 5, 20/03/2006, n. 6184, Rv. 590960-01; Cass. sez. 5, 06/02/2001, n. 2483, Rv. 586835-01; Cass. sez. 1, 02/02/2006, n. 2332, Rv. 588144-01, circa il disconoscimento della firma di traenza sull’assegno bancario)”.

Tuttavia, il disconoscimento della scrittura privata va valutato in riferimento alla proposizione del ricorso con il quale il ricorrente impugna l’atto impositivo fondante la scrittura privata utilizzata contro di lui e acquisita con il Pvc.

Dagli atti processuali esaminati dalla Corte quindi emerge che con il ricorso introduttivo di primo grado il contribuente non ha effettuato il disconoscimento di sottoscrizione, ma ha disconosciuto genericamente tutta la documentazione reperita dalla Guardia di Finanza. Il disconoscimento non è avvenuto neanche successivamente alla costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate, né in occasione del deposito di memorie, ma solo tardivamente, in sede di udienza di trattazione.

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“La detta tardività implica che le sottoscrizioni per girate apposte sulle dette scritture private sono state correttamente date per riconosciute dalla CTP (che le ha valutate ai fini della decisione), in assenza di specifico e formale disconoscimento ex artt. 214,215 e 216 c.p.c. (per la qualificazione in termini di scritture private degli assegni bancari si vedano, anche: Cass. sez. 1, 02/02/2006, n. 2332, Rv. 588144-01, e Cass. sez. 5, 31/03/2011, n. 7355, Rv. 617445-01).”

Inoltre, la statuizione di secondo grado “si è fondata non solo sulla non corretta mancata valutazione a fini probatori di assegni (in ragione della errata considerazione del loro disconoscimento) ma anche sull’assunto per il quale l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dedotte dall’Ufficio del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. c), non risulterebbero in modo certo e diretto dagli atti del giudizio.

Ciò, come ha motivato contraddittoriamente ed in maniera illogica la CTR, in ragione della mancanza di un controllo incrociato a carico di …..s.n.c., invece effettuato, tanto che la stessa Commissione regionale, al punto successivo, ha evidenziato l’infruttuosità del controllo incrociato effettuato nei confronti del contribuente e di ….s.r.l”.