I rapporti tra processo tributario e processo penale sono regolati dal cosiddetto principio del doppio binario: un rapporto fatto da un delicato equilibrio, tra i più delicati della giustizia. In questo ambito, infatti, i giudici si muovono tra i meandri dei due rami processuali.

Basta un esempio: in tema di contenzioso tributario, non si può attribuire automatica autorità di cosa giudicata alla sentenza penale irrevocabile, che sia di condanna o assoluzione, emessa su reati fiscali, anche se i fatti esaminati siano gli stessi sul quale di basa l’accertamento degli uffici finanziari. Questo perché, in primo luogo, nel processo tributario vigono dei limiti in prima di prova testimoniale, ex art.7, co. 4, Dlgs. n. 546/92, mentre sono previste anche previsioni semplice, inidonee in una pronuncia penale di condanna.

Pertanto un imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto, o perché il fatto non sussiste, può essere invece ritenuto fiscalmente responsabile nel caso in cui l’atto impositivo risulti basato su indizi validi, che sono ritenuti adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario, ma insufficienti per un giudizio di responsabilità penale.

Gli elementi rilevanti nel rapporto tra processo tributario e processo penale

In virtù di quanto appena affermato, un giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale in tema di reati tributari, ma deve procedere ad un autonomo apprezzamento, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti.

Una sentenza di assoluzione nel processo penale perciò non può avere un rilievo automatico nel giudizio tributario, sotto diversi profili. Innanzitutto, c’è il tema del parametro di valutazione del giudice penale, che non è tanto l’innocenza dell’imputato, quanto l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio per insufficienza di elementi che possano sostenere l’accusa in dibattimento.

Inoltre, anche nel caso in cui il procedimento penale e quello tributario siano attinenti alla stessa fattispecie, i fatti assumono profili diversi nei due ambiti penale ed amministrativo, anche considerando i differenti principi a presidio dell’elemento psicologico nei richiamati contesti.

Quest’ultimo elemento è particolarmente importante. La responsabilità penale, per quanto riguarda la categoria dei delitti alla quale appartengono tutte le fattispecie di cui al Dlgs n.74/2000, è strettamente legata alla coscienza e alla volontà dolosa dell’evento, escluse le eccezioni punibili anche per colpa, ossia per effetto di negligenza, imprudenza e imperizia. In questo contesto quindi si viene a determinare l’onere della prova in ordine all’elemento soggettivo dell’agente. Pertanto sarà compito della pubblica accusa, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 1, lettera f), dello stesso Dlgs. n. 74/2000, effettuare un’accurata ricostruzione probatoria sia delle diversi fasi della condotta che della volontà di ottenere l’evasione delle proprie imposte.

In ambito strettamente amministrativo di applicazione delle norme sanzionatorie tributarie lo scenario è completamente diverso. L’art. art. 5, comma 1, del Dlgs. 18 dicembre 1997, n. 472, infatti, stabilisce che “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.

A livello processuale questo si traduce in una diversa ripartizione dell’onere della prova nei due tipi di procedimenti: in tema di responsabilità penale l’onere incomberà sempre sul pubblico ministero, mentre nel giudizio tributaria l’onere della prova potrà incombere anche sul contribuente.

Le norme del Dlgs 74/2000

A tal proposto sono fondamentali le norme contenute nel titolo IV del decreto 74, che prevedono:

  • il principio di specialità (art. 19);
  • i rapporti tra il procedimento penale e il processo tributario (artt. 20 e 21).

Il primo punto stabilisce che, se uno stesso fatto è punito sia in via sia amministrativa che penale, si applica una sola sanzione, ossia quella comminata dalla disposizione speciale. Il Legislatore ha poi stabilito dei correttivi con l’intento di coordinare meglio il rapporto tra i due sistemi sanzionatori, prevedendo che, anche quando il principio di specialità porti ad escludere l’applicabilità delle sanzioni amministrative nei confronti della persona fisica responsabile della violazione, permanga comunque la responsabilità per tali sanzioni da parte di società, associazioni o enti nell’interesse dei quali abbia agito il trasgressore.

Per quanto riguarda invece i rapporti tra procedimento penale e amministrativo, si conferma il principio del doppio binario, ossia della completa autonomia reciproca tra le due sfere di azione. Pertanto sia l’attività di accertamento degli Uffici finanziari che i processi davanti alle Commissioni tributarie si sviluppano in parallelo e in modo indipendente dal processo penale che verte sugli stessi fatti.

L’indipendenza tra i due giudici è confermata anche dal fatto che la sospensione del processo tributario avviene solo in caso di ipotesi residuale di presentazione di querela di falso, previsione che ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale per contrasto sia con l’art. 3 Cost. che con l’art. 24 Cost., a causa della compressione del diritto di difesa che il contribuente rischia di subire in caso di non utilizzabilità di prove documentali nella sede tributaria.

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Tali dubbi sono stati tuttavia risolti dalla Corte costituzionale, che ha sottolineato che la scelta del legislatore di non prevedere la sospensione del processo tributario in attesa dell’esito di quello penale ha natura discrezionale e perciò comprende il limite della ragionevolezza che, peraltro, risulta rispettato se si considera il non oberare il contenzioso tributario con un’attesa che possa rivelarsi lunga (e un’abnorme durata del processo tributario finirebbe per ledere i diritti del contribuente).