Dal 1 luglio 2020 scatta, secondo quanto previsto dal decreto Crescita, l’obbligo per il Fisco di invitare il contribuente al contraddittorio prima di emettere un atto di accertamento. L’invito al contraddittorio riguarda gli accertamenti in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, IRAP, IVA, imposta sul valore degli immobili all’estero (IVIE) e imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero (IVAFE).

L’Agenzia delle Entrate specifica, nella circolare 17/2020 relativa all’obbligo dal decreto legge 34/2019 (articolo 4-octies), che il contribuente non è tenuto ad accettare l’invito al contraddittorio e che il mancato invito non rappresenta comunque un motivo di decadimento della pretesa tributaria; in caso di ricorso, il contribuente dovrà dimostrare che con il contraddittorio avrebbe potuto fa valere le proprie ragioni.  sarà il giudice tributario, in sede di impugnazione, a stabilire se l’osservanza dell’obbligo di accertamento avrebbe comportato un risultato diverso.

La mancata risposta del contribuente all’invito dell’ufficio non è sanzionabile, ma comporta l’impossibilità di avvalersi dell’accertamento con adesione.

Il Fisco è esentato dall’obbligo di invito al contraddittorio solo nei casi di “particolare urgenza“, che deve essere motivata nell’atto e può essere rappresentata da:

  • pericolo derivante da ripetute violazioni, che comportano l’obbligo di denuncia per reati tributari
  • circostanza imprevedibile e sopravvenuta, che impone dei tempi rapidi per gli adempimenti dell’amministrazione tributaria; in tal caso l’ufficio competente deve motivare in modo adeguato l’avviso di accertamento o rettifica, con le ragioni che giustificano il fondato timore di perdere la garanzia del credito, così da evitare possibili contestazioni in sede di contenzioso.