L’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, è l’imposta che sono tenuti a pagare allo Stato i cittadini italiani che percepiscono un reddito. La percentuale di imposte da pagare rispetto al reddito è diversa in base a quanto si percepisce di reddito e ad una serie di altri fattori.

Recentemente la Sesta Commissione permanente Finanze e Tesoro ha approvato, in seguito ad un’indagine conoscitiva partita a novembre 2020, un documento, noto anche come “Riforma Draghi“: tale documento ha posto le basi per la riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario. Si tratta ovviamente di una trattazione preliminare, che ha bisogno di aggiustamenti e allineamenti. Prima di analizzare le prospettive di riforma fiscale, tuttavia, è bene approfondire il ruolo dell’Irpef nel sistema tributario italiano.

L’Irpef nella normativa italiana

Secondo l’articolo 53 della Costituzione, “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Il sistema di tassazione è stato disciplinato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986 (meglio noto col nome di Testo Unico delle Imposte sui redditi – TUIR), ispirato ai citati principi costituzionali. In particolare, il titolo I del TUIR tratta il tema dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche, delineando l’ambito oggettivo e soggettivo dell’imposta.

L’ambito oggettivo di applicazione dell’Irpef è il possesso di redditi in danaro o in natura appartenenti ad una delle seguenti categorie:

  • redditi fondiari
  • redditi di capitale
  • redditi di lavoro dipendente
  • redditi di lavoro autonomo
  • redditi di impresa
  • redditi diversi.

L’ambito soggettivo è invece rappresentato da persone fisiche, residenti e non, nello Stato italiano. In particolare, la normativa italiana prevede che reddito delle persone fisiche residenti si applichi in maniera globale su tutti i redditi, che siano prodotti in Italia o all’estero, mentre il reddito delle persone fisiche non residenti è dato dalla somma dei redditi prodotti in Italia.

Questo comporta che un cittadino residente in Italia con redditi in un altro Paese sarà soggetto, provvisoriamente, a due imposizioni sul reddito di fonte estera, la prima volta in Italia e la seconda nello stato estero dove il reddito è prodotto. Per evitare questa doppia imposizione, tra lo stato italiano e la maggioranza dei paesi esteri sono stati pattuiti degli accordi che disciplinano la materia, attribuendo al contribuente residente un credito di imposta correlato alle imposte pagate all’estero.

La base imponibile Irpef è invece data dalla somma dei redditi conseguiti in ciascun anno, in funzione delle categorie reddituali sopra indicate. Il periodo di riferimento della base imponibile è l’anno solare.

Come calcolare l’Irpef e come pagare l’imposta

La determinazione dell’imposta è un’attività resa complessa dalla stratificazione temporale delle norme che si sono succedute nel tempo sulla materia. Per la determinazione dell’Irpef è infatti necessario predeterminare alcuni dati: i principali sono il reddito complessivo, gli oneri deducibili e le detrazioni di imposta.

Il reddito complessivo

Il reddito complessivo è composto dalla sommatoria dei redditi conseguiti nel periodo di imposta. Per poter calcolare l’Irpef dovuta nel periodo d’imposta è necessario sottrarre preliminarmente dalla sommatoria dei redditi la “deduzione per l’abitazione principale” e gli “oneri deducibili”.

La deduzione per l’abitazione principale è determinata in pari misura dalla rendita catastale dell’abitazione e delle relative pertinenze, il cui importo confluisce nel reddito fabbricati.

Gli oneri deducibili

Gli oneri deducibili sono costituiti da tutte le spese per le quali il legislatore ha previsto una funzione sociale primaria, e che pertanto concorrono a ridurre il reddito complessivo.

La differenza tra il reddito complessivo e gli oneri deducibili forma il reddito imponibile, che costituisce la base di calcolo per l’Irpef.

Le detrazioni di imposta

Calcolata l’imposta lorda, si può determinare l‘imposta netta previa sottrazione delle cosiddette detrazioni di imposta, riconosciute per svariate finalità, come:

  • per carichi di famiglia (art.12)
  • detrazione per i titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati (art.13)
  • detrazione per oneri (art. 13-bis), che si applica con una percentuale del 19%, spesso con limite massimo di spesa; è il caso della detrazione sugli interessi passivi per l’acquisto della abitazione principale, le spese veterinarie, le spese funebri; in altri casi  è previsto un plafond minimo di spesa (per esempio per le spese mediche) e altre volte il tetto massimo della detrazione fruibile è parametrato al reddito dichiarato (è il caso delle donazioni in danaro a favore di enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono esclusivamente attività nello spettacolo, effettuate per la realizzazione di nuove strutture, per il restauro ed il potenziamento delle strutture esistenti, nonché per la produzione nei vari settori dello spettacolo).
  • detrazioni per canoni di locazione (art.13-ter)
  • detrazione per abitazione principale per i soggetti titolari di reddito di lavoro dipendente (art.14)
  • detrazioni per canoni di locazione stipulati ai sensi della Legge 431/1998, per i coltivatori diretti e per gli Imprenditori Agricoli Professionali (art.16)
  • detrazioni per interventi sul patrimonio edilizio (art. 16-bis).

Aliquote Irpef: gli scaglioni

Gli “scaglioni” Irpef sono attualmente 5:

  • reddito fino a 15.000 euro: aliquota Irpef pari al 23%
  • reddito oltre 15.000 euro e fino a 28.000 euro: aliquota Irpef pari al 27%
  • reddito oltre 28.000 euro e fino a 55.000 euro: aliquota Irpef pari al 38%
  • reddito oltre 55.000 euro e fino a 75.000 euro: aliquota Irpef pari al 41%
  • reddito oltre 75.000 euro: aliquota Irpef pari al 43%.

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Calcolo dell’Irpef: le eccezioni

Alcune tipologie di redditi, tuttavia, sfuggono alla progressività della tassazione. La categoria più rilevante è quella delle rendite finanziarie, assoggettate ad una tassazione percentuale fissa, oggi pari al 26%, indipendentemente dall’imponibile.

Un altro esempio di tassazione non progressiva è quello da locazioni relative ad immobili abitativi per il quale il percettore del reddito abbia optato per la c.d. cedolare secca. Un’altra categoria reddituale che ha avuto un notevole successo negli ultimi anni è rappresentata dai metodi forfettari, assoggettati ad una imposta sostitutiva non solo dell’Irpef, ma anche dell’Irap e delle addizionali comunali e regionali.

La nuova riforma Draghi: novità ed obblighi

La riforma Draghi parte dell’assunto che l’attuale struttura dell’Irpef debba essere sostanzialmente ridefinita, secondo i seguenti principi:

  • abbassamento dell’aliquota media effettiva, in particolare per i contribuenti nella fascia di reddito 28.000-55.ooo euro
  • modifica della dinamica delle aliquote marginali effettive, con l’obiettivo di eliminare le discontinuità più brusche.

In alternativa ad un intervento volto a semplificare il combinato disposto di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito, un’altra possibilità, che tuttavia la Commissione indica come meno preferibile, è l’adozione di un sistema di aliquota continua, con particolare riferimento alle fasce di reddito medio, e l’introduzione di un minimo esente, senza obbligo di dichiarazione per i contribuenti che si collochino sotto la relativa soglia.

Tale minimo esente dovrebbe essere concepito come un maxi-deduzione a valere su tutta la distribuzione dei redditi, o parte di essa, adeguando di conseguenza il livello delle aliquote. La Commissione propone che questo livello di minimo esente sia maggiorato in caso di lavoratori di età inferiore ai 35 anni.

Deduzioni e detrazioni nella riforma Draghi

Secondo la Commissione che ha lavorato per elaborare le linee guida per la riforma del sistema tributario, è indispensabile che il disegno di legge delega includa le premesse per una riduzione delle fattispecie e una semplificazione del sistema, da raggiungere attraverso “’eliminazione di quelle spese fiscali il cui beneficio pro capite medio (ovvero il numero di beneficiari) sia inferiore a una soglia appositamente determinata e il passaggio (completo o parziale) del complesso delle agevolazioni sul lato delle uscite pubbliche, istituendo un meccanismo volontario di erogazione diretta del beneficio – a fronte del pagamento con strumenti tracciabili – con l’ausilio degli strumenti tecnologici a disposizione”.

Le imposte addizionali di comuni e regioni e le ipotesi di riforma

Oltre all’Irpef, il reddito è assoggettato ad altre imposte, le cosiddetta “addizionali regionali e comunali”, che sono determinate dagli Enti destinatari con provvedimenti specifici, che hanno facoltà di decidere tra un minimo ed un massimo.

L’aliquota della addizionale comunale non può superare lo 0,80%, mentre l’addizionale regionale è applicata in maniera poco uniforme nel territorio nazionale, talvolta in misura fissa, altre volte per scaglioni di reddito, in un range che va da dall’1,23% al 3,33%.

Le addizionali sono state introdotte dalla precedente riforma che ha introdotto il c.d. federalismo fiscale, il cui obiettivo dichiarato era quello di realizzare il superamento del sistema di finanza derivata e l’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale. La Commissione stessa, tuttavia, evidenzia come le addizionali comportino una alterazione della struttura della progressività prevista a livello nazionale e pertanto con la riforma Draghi si auspica una trasformazione delle addizionali in “ sovraimposte – aventi quindi come base imponibile il debito d’imposta erariale, e non la stessa base imponibile IRPEF – la cui manovrabilità all’interno di un range predefinito rimarrebbe in capo all’ente territoriale”.

Rendite finanziarie: la proposta di riforma

Per quanto riguarda la tassazione delle rendite finanziarie, la riforma Draghi propone una linea di intervento basata su due direttrici:

  • la creazione di un’unica categoria di redditi finanziari
  • la modifica e unificazione della tassazione della previdenza complementare.

La creazione di un’unica categoria reddituale viene giustificata dalla attuale impossibilità tecnica di compensare le componenti di reddito positive di una categoria (interessi) con quelle negative di un’altra (le minusvalenze). Secondo la commissione, il contribuente che ha subito pesanti perdite in conto capitale su uno strumento finanziario è costretto comunque a pagare le imposte se quello stesso strumento ha corrisposto cedole, anche di bassa entità. Inoltre, sempre secondo la Commissione, “la situazione vigente incentiva implicitamente gli investimenti privi di rischio (quelli che proteggono il capitale da possibili minusvalenze ma che lo remunerano con un interesse modesto ma ragionevolmente sicuro), quando invece un’impostazione pro-crescita dovrebbe quantomeno essere neutrale rispetto a investimenti maggiormente in grado di convogliare il risparmio privato nell’economia reale”.

La modifica al sistema di tassazione della previdenza complementare tende invece a trasferire la tassazione dal sistema ETT al sistema EET, in modo da rendere esente anche la fase di maturazione, armonizzandola col sistema prevalentemente utilizzato in ambito UE. Questa modifica andrebbe accompagnata dalla previsione di tassazione delle rendite al momento della effettiva erogazione e secondo le aliquote IRPEF ordinarie.

Regimi forfettari: i correttivi previsti

Per il regime dei metodi di tassazione forfettari, la riforma Draghi prevede il mantenimento con alcuni correttivi. Il primo tra tutti riguarda il passaggio dal regime forfettario a quello ordinario dall’anno successivo a quello in cui si supera l’attuale limite dei 65.000 Euro. Tale passaggio, piuttosto brusco, è visto come un ostacolo allo sviluppo delle attività di impresa e di lavoro autonomo, che potrebbe essere superato con la previsione di un “regime transitorio” che accompagni il contribuente al sistema di tassazione ordinaria.

La Commissione in particolare raccomanda, “per il caso in cui il contribuente, in un determinato periodo d’imposta, consegua un ammontare di ricavi o compensi superiore all’attuale soglia di 65.000 euro, ma inferiore a un tetto opportunamente individuato, l’introduzione di un regime opzionale – con scelta irrevocabile da parte del soggetto passivo d’imposta – per la continuazione del regime forfettario nei due periodi d’imposta successivi, a condizione che in ciascuno di detti periodi d’imposta il contribuente dichiari un volume d’affari incrementato di almeno il 10 per cento rispetto a quello di ciascun anno precedente. Conseguentemente, le aliquote dell’imposta sostitutiva previste ai commi 64 e 65 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, potranno essere aumentate, per il biennio in questione, rispettivamente, dal 15 al 20 e dal 5 al 10 per cento”.