I redditi delle commercialiste, e in più in generale delle professioniste, risentono ancora di un deficit importante rispetto a quelli dei colleghi uomini. Un divario, in media, del 35%: lo dimostra un’indagine svolta da IlSole24Ore sulla base dei dati forniti dalle principali Casse professionali, che fotografano le entrate dichiarate dalle diverse categorie tra il 2010 e il 2019.

Questi dati non tengono conto dei livelli occupazionali né delle ore lavorate, che nel caso delle commercialiste incide fortemente sui redditi annuali, ma possono comunque essere letti alla luce degli alti indicatori disponibili nel nostro Paese.

La mappa delle differenze è riportata in un grafico interattivo sul sito de Il Sole 24 Ore e mostra come il divario tra i redditi non sia immutabile. Al contrario, è più basso in fase di avvio della professione, ossia tra i 30 e i 40 anni d’età, si considerando la media complessiva che in rapporto alla fascia tra i 50 e i 60 anni, che generalmente rappresenta l’apice della carriera.

A commentare tali dati la la sottosegretaria al Mef Maria Cecilia Guerra, che afferma “Sono dati impressionanti, dai quali emerge che il divario di reddito maggiore nelle fasce di età più avanzate è il segno dell’incepparsi della progressione della carriera per le professioniste per effetto del noto soffitto di cristallo”. Secondo la sottosegretaria l’introduzione dell‘assegno unico alla famiglia, ora in fase di discussione al Senato per il perfezionamento della legge delega, potrebbe rappresentare “un buon segnale per il sostegno alle famiglie ma non sufficiente: per superare i divari di genere è necessario proseguire su due punti fermi contenuti nel Recovery Plan del governo Conte: asili nido e altre infrastrutture sociali e valutazione dell’impatto di genere di tutte le politiche”.

Secondo Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat e presidente dell’engagement group Women 20 al G20, invece, “Il gender pay gap è alimentato da una discriminazione esplicita, quella di una minore retribuzione a parità di lavoro, ma è anche il punto di sfogo di tutti gli ostacoli che le donne incontrano nel percorso professionale e che si traduce, per esempio, nel part time forzato e nella sospensione più o meno lunga dell’attività lavorativa”.

Gap salariale: sono le commercialiste e le avvocate le professioniste più penalizzate

Tra il 2010 e il 2o19 il divario tra i redditi si è ridotto: se nel 2010 la media era pari al 40%, nel 2o19 si è registrato un lieve incremento medio dei redditi femminili; la riduzione del gap, tuttavia, è un’illusione, perché nello stesso decennio gli uomini hanno perso il 6% di reddito medio a causa della crisi. Le donne recuperano quindi  un modesto 2% nel gap salariale.

Le avvocate sono tra le professioniste più penalizzate: nonostante siano ormai la maggioranza nella professione, continuano a guadagnare meno della metà dei colleghi uomini.

Gap importante anche per commercialiste ed ingegnere, entrambe con redditi che distano 45 punti percentuali da quelli maschili.

La monocomittenza delle professioniste

Ad incidere pesantemente sul gap dei redditi è anche il fenomeno della “monocommittenza”, ossia delle numerose partita Iva apparenti, che di fatto sono dipendenti strutturalmente dagli studi, ricompensate con redditi fissi ma penalizzate nell’avanzamento di carriera e quindi nel reddito.

Una situazione che riguarda molte più donne che uomini, come mostra l’ultimo rapporto Adepp, e che si riconosce dal fatto che reddito e fatturato coincidono. “Succede quando non ci sono spese fisse di studio – spiega Tiziana Stallone, vicepresidente Adepp – e quando di fatto si viene ricompensati con un fisso: ebbene le professioniste in questa situazione, giovani soprattutto, sono molto di più rispetto agli uomini. Credo che le donne rinuncino ad essere manager di sé stesse solo per un fatto culturale. Grava ancora su di loro la responsabilità principale del carico familiare che assorbe tanta energia”.

Un fenomeno destinato a non modificarsi, almeno nel breve termine, ma forse a peggiorare per effetto della pandemia, dei lockdown, dello smartworking e della didattica a distanza, i cui effetti si sono visti proprio su quella parte della popolazione che già aveva uno svantaggio di partenza, ossia quella femminile.

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