I bonus edilizi, ossia gli sconti fiscali sui lavori di ristrutturazione e risparmio energetico in casa, riscuotono sempre più successo. Basta guardare le dichiarazione dei redditi 2018 delle persone fisiche, nelle quali le due detrazioni hanno superato rispettivamente i 6 e l’1,5 miliardi di euro.

Sempre nel 2018, i bonus edilizi hanno generato investimenti per 28,6 miliardi: un record inferiore solo alla spesa del 2013. Accanto a questi dati, però, ci sono quelli relativi alle liti tributarie: i bonus fiscali del 50% e del 60% sono infatti sempre più spesso protagonisti di scontri tra i contribuenti e il Fisco.

La Cassazione, ad esempio, è intervenuta recentemente per esprimere un parere sul diritto alla detrazione per il recupero del patrimonio edilizio del fabbricato, in caso di demolizione e ricostruzione non fedele. L’Agenzia delle Entrate, infatti, aveva sempre sostenuto che fosse possibile detrarre solo le spese per gli interventi di ricostruzione fedele, cambiando però completamente posizione nell’interpello 210/2019, includendo anche le opere di ricostruzione con volumetria inferiore.

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Bonus edilizi e società

Scontro aperto anche tra società immobiliari e Fisco sul tema dell’accesso all’ecobonus. Secondo l’Agenzia delle Entrate il requisito fondamentale per accedere ai bonus edilizi è che l’intervento di riqualificazione comporti una riduzione effettiva dei consumi energetici nell’esercizio dell’attività imprenditoriale, mentre sono escluse dall’agevolazione le opere realizzate su beni oggetto dell’attività esercitata.

Tuttavia, per le società che si occupano di locazione pura, gli edifici sui quali si effettuano gli interventi di risparmio energetico sono proprio l’oggetto dell’attività esercitata, ossia l’affitto a terzi: secondo l’Agenzia delle Entrate, quindi, l’ecobonus non sarebbe applicabile.

I giudici tributari, però, sono di diverso avviso: la detrazione spetta ai titolari di reddito di impresa per gli interventi di riqualificazione energetica di immobili di proprietà di qualsiasi natura, in quanto la normativa non pone limiti in tal senso. Tale linea interpretativa è stata accolta anche dalla Cassazione, con la sentenza 19815/2019.

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La rettifica delle rate di detrazione

Un altro punto controverso riguarda la possibilità per il Fisco di rettificare solo le rate di detrazione successive alla prima, senza dover rettificare anche la dichiarazione nella quale è stata riportata per la prima volta la detrazione, che si suddivide infatti in cinque o dieci quote annuali.

L’Agenzia delle Entrate non si è mai espressa chiaramente su questo punto, ma nei diversi documenti inviati ai Caf è stato sempre precisato che il controllo delle spese suddivise in più anni deve essere effettuato a ogni utilizzo della rata dell’onore; il Fisco, perciò, può rettificare ogni singola autonomamente.

Secondo alcune commissioni tributarie, invece, il Fisco deve contestare la sussistenza dei presupposti normativi per il periodo d’imposta in cui le spese sono state sostenute, e perciò quello in cui è stata esercitata per la prima volta la detrazione.

Lo strumento accertativo in questo caso dovrebbe essere il controllo formale delle dichiarazioni (art.36-ter del Dps 600/73), anche se nella giurisprudenza di merito si sono formati pareri contrastanti. Uno di questi, ad esempio, ha ipotizzato che il disconoscimento della detrazione Irpef per gli interventi di risparmio energetico deve avvenire con un avviso di accertamento, in quanto il disconoscimento presuppone un’attività amministrativa che non rientra nella fattispecie teorica della norma richiamata.

A questo punto, quindi, non resta che attendere il verdetto della Cassazione, che potrà dare ragione all’Agenzia delle Entrate o confermare l’interpretazione dei giudici tributari.