Non solo interventi volti a migliorare la qualità della risposta giudiziaria e ridurre i tempi del processo tributario: tra le proposte della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria c’è anche l’introduzione di strumenti finalizzati a migliorare la difesa processuale degli interessi coinvolti. In questo ambito si inserisce anche la previsione di introdurre un rimedio giudiziale nei confronti degli atti illegittimi, intendendo con questa espressione ogni provvedimento adottato sulla base di prove assunte in violazione dei diritti fondamentali del contribuente.

La normativa attuale

Oggi le disposizioni normative che tutelano i contribuenti sottoposti a verifiche fiscali sono:

  • l’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale detta previsioni in merito alla generalità delle verifiche,
  • l’art. 33 del D.P.R. n. 600/1973 per gli accertamenti condotti ai fini delle imposte sui redditi,
  • l’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, il quale rileva rispetto alle verifiche condotte ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e dell’imposta sulle successioni e donazioni nonché dell’imposta di registro in forza del rinvio espresso operato, rispettivamente, dagli articoli 34, comma 4, D.Lgs. n. 346/1990, 51, comma 4, D.P.R. n. 131/1986,
  • l’art. 24, comma 5, D.Lgs. n. 446/1997 in materia di IRAP.
Le disposizioni qui citate definiscono le modalità e limiti dell’attività di modifica, ma non prevedono nulla in merito alle conseguenze che possono derivare dalla mancata osservanza delle prescrizioni.

Atti illegittimi: le garanzie del contribuente

Ovviamente il contribuente può sempre denunciare l’illegittimità degli atti istruttori, impugnando il provvedimento impositivo basato sui risultati di attività di indagine condotte in violazione delle norme citate in precedenza. Tuttavia in seno alla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, non si trova un orientamento univoco in relazione agli effetti dell’attività di verifica posta in essere in violazione di norme di legge sul successivo atto impositivo.

Stando ad un primo orientamento, non ci sarebbe nessuna disposizione di legge che prevede l’inutilizzabilità di elementi probatori illecitamente acquisiti. Pertanto, esclusi gli elementi la cui inutilizzabilità deriva da una disposizione di legge o dal fatto di essere stati acquisiti dalla Amministrazione in violazione di un diritto del contribuente di rango costituzionale, secondo tale indirizzo possono essere utilizzati gli elementi comunque questi siano stati acquisiti, anche facendo riferimento al dato letterale degli articoli 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973 e 51 del D.P.R. D.P.R. n. 633/1972, che prevedono un principio generale di non tipicità della prova che consente l’utilizzabilità – in linea di massima – di qualsiasi elemento che il giudice correttamente qualifichi come possibile punto di appoggio per dimostrare l’esistenza di un fatto rilevante e non direttamente conosciuto (in questa direzione, Cass. n. 31779/2019 e n. 8605/2015).

Secondo un altro indirizzo, pur riconoscendo che i vizi dell’attività istruttoria propedeutica possano essere fatti valere in sede di impugnazione dell’atto impositivo da questa derivante, si devono distinguere le conseguenze talvolta in termini di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite e talaltra in termini di caducazione dell’atto impositivo per illegittimità derivata ove vi sia un nesso immediato e diretto fra l’atto ispettivo illegittimo ed il provvedimento impositivo impugnato (Cass., SS.UU., n. 8587/2016; n. 11082/2010).

Peraltro, nel caso in cui l’attività istruttoria ritenuta illegittima non abbia poi previsto l’emanazione di atti tributari impugnabili oppure se l’atto finale emesso sia del tutto avulso dagli atti istruttoria ritenuti illegittimi, o ancora se il contribuente abbia prestato acquiescenza all’atto impositivo, la Suprema Corte ha riconosciuto la possibilità, per il contribuente stesso, di far valere la lesione del suo diritto soggettivo di non subire ispezioni illegittime innanzi al giudice ordinario affermandone la possibilità, ricorrendone i presupposti, di agire anche in via cautelare.

Infine, l’art. 12, comma 6, dello Statuto dei diritti del contribuente riconosce la possibilità, per i contribuenti che ritengono che le verifiche siano state svolte con modalità non conformi alla legge, di rivolgersi al Garante del contribuente per richiedere una tutela della propria posizione.
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Tutela dagli atti illegittimi: strumenti inadeguati

Dalla panoramica fin qui riportata appare evidente come l’ordinamento attuale non preveda una specifica tutela in relazione agli atti che derivano da un’attività di verifica condotta in violazione delle posizioni soggettive dei contribuenti, lasciando in tal odo agli operatori del diritto, come giudici e rispettive parti, il compito di rendere effettiva la tutela giurisdizionale dell’interesse patrimoniale rispetto alle attività di indagine fiscali illecite.
L’inadeguatezza degli strumenti approntati dall’attuale ordinamento si manifesta particolarmente anche alla luce dei diritti riconosciuti dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) che ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, come modificato dal trattato di Lisbona, ha assunto lo stesso valore giuridico dei trattati istitutivi.
Nel dettaglio, la Corte Europea sui diritti dell’uomo ha affermato in diverse pronunce che il contribuente ha il diritto a non accessiispezioni e verifiche tributarie illegittime, diritto tutelato dalla Convenzione, in quanto rientra nell’ambito dei “diritti e obbligazioni di carattere civile” presidiati dall’art. 6 della CEDU, in materia di “equo processo”. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte Europea sui diritti dell’uomo, infatti, questo diritto è compreso nell’ambito delle prerogative garantite dall’art. 8 della Convenzione, in materia di diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La Corte ha voluto così tutelare il contribuente, in caso di accessi, ispezioni e verifiche, sia nell’aspetto “sostanziale” che in quello “processuale”, negando in queste fattispecie rilevanza al principio, affermato dalla Camera Grande della Corte, secondo cui le controversie in tema di accertamento dell’obbligazione tributaria (ed esclusivamente quella) sarebbero esclude dal campo di applicazione del citato art. 6 del CEDU.
I giudici di Strasburgo, tuttavia, nell’affrontare una questione relativa ad ispezioni domiciliari e sequestri in materia tributaria, hanno ritenuto che nella fattispecie si dovesse applicare l’art. 6, par. 1 della CEDU, dal momento che le liti in materia di regolarità delle ispezioni domiciliari e dei conseguenti sequestri hanno natura “civile”.  La Corte ha ritenuto che il rispetto dell’art.6 sia assicurato solo nel caso in cui sia garantito accesso ad un giudice per conseguire una decisione utile sulla lite.
Tale assunto comporta, secondo l’interpretazione della Corte, che gli interessati debbano poter ottenere un controllo giurisdizionale effettivo, di fatto e di diritto, sulla legittimità della decisione che autorizza l’ispezione domiciliare e sulla regolarità di quanto ne consegue.
Allo stesso modo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede all’art.7 il diritto al rispetto della vita privata e familiare, incluso il domicilio. Inoltre l’art.47 della Carta garantisce il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo: a tal proposito la Corte di Giustizia UE ricorda che ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.

La proposta della Commissione interministeriale

A partire da queste considerazioni, la Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria ha elaborato una proposta che si pone in linea di continuità con il diritto dell’Unione, così come fissato nella onvenzione Europea dei diritti dell’uomo e nella Carta dei Diritti fondamentali e enucleato dalle pronunce della Corte EDU e della Corte di Giustizia.
La proposta della Commissione prevede di inserire nell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 una disposizione che stabilisca il principio in virtù del quale il giudice tributario non possa “porre a fondamento della propria decisione elementi di prova acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale”.
In tali casi, i poteri di verifica in merito all’avvenuta violazione delle regole normative che disciplinano l’esercizio dei poteri di indagine sono devoluti al giudice tributario in via incidentale, in conformità dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992.