Sette miliardi di pagamenti con POS: ecco l’enorme mole di informazioni che il Fisco avrà a disposizione e che dovrà saper sfruttare al meglio: si tratta di dati che il Fisco deve prepararsi ad accogliere ogni anno, grazie alla modifica introdotta con il decreto PNRR2 (Dl36).

Tale modifica ha l’effetto di eliminare tutte le ambiguità in merito alle operazioni da comunicare a carico dei gestori di carte e bancomat: tutte le transazioni dovranno quindi essere trasmesse all’Anagrafe tributaria, a prescindere se l’acquisto sia effettuato da un privato cittadino o da un operatore economico dotato di partita Iva. Lo scopo non è schedare in consumi, piuttosto quello di scovare il sommerso e, grazie alla messa a disposizione del pacchetto di informazioni alla Guardia di Finanza, anche il riciclaggio.

Il flusso giornaliero di dati permetterà al Fisco di effettuare analisi del rischio più accurate, setacciando anche possibili anomalie da parte di esercenti, negozianti e professionisti, come la presenza di ridotte operazioni ma di controvalore elevato, che potrebbero far scattare il sospetto di evasione o riciclaggio.

Come anticipato, secondo gli ultimi dati della relazione annuale di Banca d’Italia, il numero dei pagamenti con POS sfiora quasi i 7 miliardi, una cifra che è cresciuta ulteriormente nel corso del 2021. D’altra parte, come evidenziato anche all’ultima analisi dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, i pagamenti digitali hanno raggiunto nel loro complesso un controvalore di 327 miliardi di euro con una crescita del 22% rispetto al 2020.

Rimane tuttavia l’anomalia, tutta italiana, che vede, a fronte del valore più alto per numero di POS in confronto agli altri paesi dell’area Euro, un numero più più basso di operazioni per terminali. Le statistiche sembrano quindi dimostrare le difficoltà spesso trovate quando si chiede di pagare con le carte, come terminali spesso fuori servizio o altre giustificazioni.

Tra gli obiettivi del PNRR c”è proprio quello di ridurre queste situazioni, attuando ulteriori spinte alla tracciabilità. Il Governo ha infatti deciso di anticipare allo scorso 30 giugno la doppia sanzione per chi rifiuta i pagamenti con moneta elettronica: 30 euro a cui si aggiunge il 4% del valore della transazione negata. Una misura che è più che altro simbolica, dal momento che la sua applicazione non si prevede semplice, perché presuppone che sia il cliente a denunciare.

Non bisogna poi dimenticare alcune specificità, che andrebbero considerate per evitare situazioni paradossali: è il caso delle attività professionali, per le quali solitamente le modalità di pagamento tracciato da parte dei clienti avvengono tramite bonifico.

Inoltre, come sottolineato da Confcommercio nella nota inviata alle commissioni Affari costituzionali e Istruzione del Senato, sarebbe opportuno ragionare anche in termini di politiche attive per negozianti, commercianti, professionisti, autonomi esposti alle potenziali sanzioni. Politiche che si dovrebbero tradurre, secondo l’associazione di categoria, nell’innalzamento del credito d’imposta sul costo delle commissioni sostenute da chi accetta pagamenti con moneta elettronica: il tax credit, ora al 30%, dovrebbe essere “elevato strutturalmente al 50%” e andrebbe estesa la platea di beneficiari “superando il limite di 400mila euro di fatturato”.

Sempre Confcommercio chiede di prorogare e aumentare il credito d’imposta, oltre ad estenderne la durata, per l’acquisto dei registratori telematici in cui l’incasso tramite moneta elettronica è “abbinato” alla memorizzazione e alla trasmissione dei corrispettivi al Fisco. La richiesta principale resta comunque quella sul taglio dei costi di tenuta del POS e delle commissioni pagate sulle transazioni
Su questa tema anche Confprofessioni ha chiesto un intervento strutturale per azzerare i costi ed evitare che gli oneri i transizione digitale e semplificazione dei pagamenti gravino esclusivamente su imprese e professionisti.

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