Nel processo tributario sono esclusi, quali mezzi di prova, sia il giuramento che le dichiarazioni testimoniali: come è noto, infatti, il processo tributario si basa quasi esclusivamente sulle risultanze documentali prodotti dalle parti. Tali documenti possono essere acquisiti anche su impulso della Commissione, nei limiti dei fatti dedotti in giudizio dalle parti.

Concentriamoci sull’inammissibilità delle dichiarazioni testimoniali, elemento che, sotto alcuni profili, può rappresentare un vulnus al principio di giusto processo.

La mancata ammissione delle dichiarazioni testimoniali nel processo tributario

L’art.111, comma 1, della Costituzione stabilisce che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” e al successivo comma 2 che “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

Ad oggi l’adeguamento alle regole del giusto processo, nonostante i numerosi interventi normativi, risulta realizzato in modo incompiuto e tra le diverse criticità emerge proprio la mancata ammissione delle testimonianze, sancita per la prima volta nel nostro ordinamento nel 1981.

Se però in passato si dubitava della legittimità costituzionale del divieto di prova testimoniale prendendo in considerazione la lesione del diritto di prova garantito dall’art.24 della Costituzione, oggi si da maggior rilievo al principio del contraddittorio di cui al citato art.111 della Costituzione.

Tali dubbi sono suffragati da una recente e importante sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nella pronuncia depositata il 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/01, si è espressa sulla posizione di un contribuente finlandese che ricorreva alla Corte perché riteneva di non essersi potuto difendere adeguatamente perché il sistema tributario in vigore in Finlandia non prevede, di norma, un’udienza pubblica e quindi la possibilità di avvalersi della prova testimoniale.

La Corte, nella suddetta pronuncia, ha affermato che l’assenza della pubblica udienza, e quindi l’impossibilità di ricorrere alla prova testimoniale nel processo tributario, sono compatibili con il principio del giusto processo stabilito dalla convenzione, ma “solo se da tali divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente-contribuente sul piano probatorio, non altrimenti rimediabile“.

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Le dichiarazioni testimoniali come elementi indiziari

Se nel caso concreto preso in considerazione il pregiudizio alla posizione del ricorrente era stato escluso, bisogna però affermare che in linea di principio il divieto generalizzato alle dichiarazioni testimoniali potrebbe contrastare con con l’art. 6 della Convenzione citata.

In linea con tale divieto, la giurisprudenza ha ritenuto privi di efficacia di prova i verbali di testimonianze acquisite in altri processi, così come le informative di terzi raccolti dall’Amministrazione Finanziaria durante indagini amministrative: questo perché in caso contrario si sarebbe violato il diritto alla formazione in contraddittorio delle prove.

Tuttavia, queste verbalizzazioni possono essere valutate dal giudice in quanto elementi indiziari, capaci di contribuire alla valutazione dell’attendibilità delle prove ammesse nel processo tributario.

Il valore probatorio delle testimonianze nel processo tributario

La Corte di Cassazione è intervenuta per chiarire il valore probatorio delle dichiarazioni testimoniali nel processo tributario, evidenziando come nel processo tributario le dichiarazioni rese da un terzo (ad esempio acquisite dalla Guardia di finanza e trasfuse nel processo verbale di constatazione, poi recepito dall’avviso di accertamento) hanno valore indiziario e possono contribuire a formare il convincimento del giudice, anche se non rese in contraddittorio con il contribuente.

In particolare, si legge che “l’inammissibilità della prova testimoniale non comporta l’inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi, eventualmente raccolte dall’amministrazione nella fase procedimentale, distinguendosi queste dalla tipica prova testimoniale per il loro valore probatorio, che è quello proprio degli elementi indiziari, senza che si determini nemmeno una violazione del principio di parità di armi, potendo il contribuente contestare la veridicità delle dichiarazioni in questione e introdurre a sua volta, nel giudizio di merito, altre dichiarazioni di terzi rese a discarico in sede extraprocessuale (Corte cost. n. 18/2000; Cass. nn. 20032/2011, 10785/2010, 9402/2007, 4423/2003)“.

L’indirizzo riportato è ormai consolidato: già nella sentenza 9552 del 19 aprile 2013 la Suprema Corte aveva ribadito che il divieto della prova testimoniale nel processo tributario (di cui all’articolo 7 comma 4 del Dlgs. 546/92), preclude l’assunzione di dichiarazioni orali da parte di terzi all’interno del processo, ma non esclude la possibilità di utilizzare le dichiarazioni rilasciate da un terzo fuori dalla sede processuale e riportate in altri documenti o supporti.

Il divieto di ammissione delle dichiarazioni testimoniali nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, quindi, si riferisce solo alla prova testimoniale da assumere nel processo, che è per forza di cose orale e ad iniziativa di parte, e richiede la formulazione di specifici capitoli, richiedendo il giuramento di testi e rivestendo un particolare valore probatorio; tale divieto invece non implica linutilizzabilità ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da soggetti terzi rispetto al rapporto tra contribuente e l’Erario.

L’Amministrazione quindi può porre a fondamento della propria attività conoscitiva ogni dato comunque in suo possesso: ciò che è necessario rilevare è solo l’attendibilità delle prove acquisite. Ed è su questo aspetto che deve concentrarsi il giudizio, anche nella valutazione delle controprove fornite dal contribuente.

Passando poi al valore probatorio delle dichiarazioni, è ovvio che quando tali dichiarazioni, tra loro convergenti, confermano chiaramente altri elementi già emersi nel corso delle verifiche, allora esse assumeranno valore di vera e propria prova. Laddove le stesse dichiarazioni siano state resi tra più soggetti e siano concordi e circostanziate, e siano state confermate da ulteriori indizi, costituiranno un complesso di presunzioni gravi, precise e concordanti in grado di sostenere l’accertamento dell’Ufficio.

Tutto ciò è stato confermato recentemente e nuovamente dalla Cassazione, con l’Ordinanza n. 592 del 15 gennaio 2021, che, in riferimento alle dichiarazioni eventualmente rese dal contribuente alla Guardia di Finanza, osserva che, ai fini istruttori, queste dichiarazioni assumono natura di vera e propria confessione stragiudiziale, e costituiscono prova non indiziaria ma diretta del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti del contribuente che l’ha resa, senza necessità di ulteriori riscontri.

Il riconoscimento della valenza indiziaria delle dichiarazioni testimoniali, anche a favore del contribuente, è peraltro funzionale e coerente con il principio del giusto processo.