Il Garante della privacy boccia le fatture elettroniche: l’amministrazione finanziaria riceve infatti troppi dati e informazioni che vorrebbe utilizzare nelle analisi del rischio di evasione. I controlli incrociati basati sulle procedure di memorizzazione e archiviazioni delle fatture elettroniche, però, violano la privacy: per il Garante si concretizza un vero e proprio rischio di profilazione generalizzata dei contribuenti, inclusi i minori, che non trova giustificazione nel principio di proporzionalità e risulta ridondate rispetto all’obiettivo di interesse pubblico perseguito.

Il parere dell’Autorità, di fatto estremamente negativo, arriva in seguito alla valutazione di impatto sullo schema di provvedimento attuativo della nuova procedura di utilizzo, valida per otto anni, dei dati delle fatture elettroniche, ai fini delle analisi del rischio di evasione secondo quanto stabilito dall’articolo 14 del dl 124 del 2019. Nel parere si sottolinea come la memorizzazione e l’utilizzazione, senza distinzioni, dei dati personali contenuti nelle fatture elettroniche, anche qualora si garantiscano massimi livelli di sicurezza e accessi selettivi, sia sproporzionata in uno stato democratico, sia per la quantità che per la qualità delle informazioni trattate, rispetto all’obiettivo di contrasto dell’evasione fiscale perseguito secondo il legittimo interesse pubblico. Tale parere rimane negativo anche tenendo conto del fatto che le spese sanitarie trasmesse con il sistema “Tessera Sanitaria” sono escluse da tale previsione.

La valutazione del Garante si base sul fatto che ogni anno sono circa 2 miliardi le fatture elettroniche che transitano attraverso il sistema di Interscambio di Agenzia delle Entrate; in questi documenti sono contenuti dati spesso molto dettagliati che non hanno nulla a che vedere con le esigenze del Fisco, ma che permettono di evincere, per esempio, il tipo di rapporto esistente tra cedente e utilizzatore, eventuali sconti applicati, il livello di fidelizzazione verso alcuni fornitori, le abitudini di consumo e così via. Tutti questi dati sarebbero memorizzati e trattati, senza alcuna distinzione, per otto anni, ed utilizzati sia dall’Agenzia delle Entrate che dalla Guardia di Finanza. Nell’insieme dei dati finirebbero quindi anche informazioni che rientrano in categorie particolari, come quelle relative a procedimenti penali.

Nel provvedimento, poi, il Garante sottolinea come il legislatore sia stato già invitato, a suo tempo, a selezionare le tipologie di informazioni che si sarebbero dovute trattare sulla base della disposizione contenuta nell’articolo 14 collegato alla legge di Bilancio 2020. In tale occasione, l’Autorità aveva chiesto l’individuazione di specifiche tipologie di informazioni trattate, che dovevano essere oggetto di una specifica valutazione rispetto alle esigenze concretamente perseguite.

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